Ricordi di musica e ingegneria sotto il cielo dell’Iraq – Anche questa è Energia!

Ci sono esperienze che non si archiviano, che rimangono lì, in una parte viva della memoria, pronte a riaffiorare ogni volta che un suono, un odore o un’immagine riattiva il ricordo.
Una di queste, per me, è legata all’Iraq. Più precisamente a Zubair, nella regione di Bassora, dove ho vissuto mesi intensi, fatti di lavoro tecnico, disciplina, sfide quotidiane e… note musicali.

Spezzone video:



Era giugno 2023. La luce filtrava arida e gialla attraverso l’atmosfera carica di sabbia. Le giornate si somigliavano tutte: sveglia all’alba, check operativi, turni rigorosi, documentazioni da seguire. Il contesto era complesso, a tratti severo. Ma era proprio lì, in quella terra apparentemente inospitale, che sarebbe nato uno dei miei ricordi più umani e sorprendenti.

Condividevo il campo con colleghi di varie nazionalità, anche loro tecnici, anche loro lontani da casa.
Una sera, senza troppi programmi né pretese, accadde qualcosa che ancora oggi mi emoziona: montammo gli strumenti recuperati un po’ per caso, un po’ per ostinazione e iniziammo a suonare. “Smoke on the Water” dei Deep Purple fu la scelta naturale, quasi istintiva. Una canzone capace di attraversare i confini e di parlare la lingua di chiunque abbia mai avuto bisogno di una via d’uscita.

Io alla batteria, gli altri al basso, chitarra e voce. Un frammento di video, solo uno spezzone, documenta quell’istante, ma ciò che custodisco dentro è molto più nitido e completo. Ricordo la sabbia sotto i piedi, l’aria tiepida della sera, i sorrisi complici e quell’energia collettiva che solo la musica sa sprigionare quando nasce spontanea, vera.

Per qualche minuto, non eravamo più operativi in missione, non eravamo più ingegneri al lavoro.
Eravamo persone che si raccontavano con il suono, che si concedevano un momento di libertà, di identità.
Ogni colpo di rullante era un gesto di affermazione, ogni accordo un ponte tra culture.
In quell’angolo remoto dell’Iraq, la musica è stata rifugio, espressione, incontro.

Oltre alla batteria, uno strumento che mi accompagna da un po’, in quell’esperienza ha avuto spazio anche la chitarra, altro mezzo con cui da anni racconto e trasformo emozioni.
Una foto scattata proprio lì mi ritrae mentre suono la chitarra e per me rappresenta l’altro lato della medaglia; quello più raccolto, più personale, ma non per questo meno potente.

A distanza di oltre un anno, quelle immagini, quei suoni, quelle vibrazioni non sono solo nostalgia. Sono una testimonianza viva del fatto che anche nei luoghi più austeri può nascere arte, che anche dove tutto sembra parlare solo la lingua della tecnica e l’inglese, può suonare una melodia fatta di cuore.

Zubair è stata per me anche questo: un luogo dove le mani che progettavano e misuravano sono diventate le stesse che percuotevano pelli e pizzicavano corde.
Un luogo dove la professionalità ha incontrato l’umanità, e dove il silenzio del deserto ha lasciato spazio, per un attimo, al rumore meraviglioso della musica. L.L.