Ci sembra tutto comodo ma è solo fragile

Un giovane uomo pensieroso, seduto vicino a una finestra, guarda con preoccupazione il proprio smartphone e portafoglio appoggiati sul tavolo, accompagnato dalla frase “Ci stiamo legando a catene digitali, fragili come vetro”

Ci sono cose che si capiscono solo quando vengono a mancare. E non parlo di persone, non questa volta. Parlo della rete, di quell’invisibile ragnatela che tiene tutto insieme, dal contatore della luce al battito del nostro smartwatch. Tutto connesso, tutto automatico, tutto fuori dal nostro controllo.

Ogni passo in avanti ci sembra una liberazione: dal tempo, dalla fatica, dall’errore umano. Smettiamo di ricordare i numeri di telefono, tanto ci pensa il cloud. Disinstalliamo la memoria, un po’ alla volta, delegando ogni piccola decisione a un sistema che, lentamente, impara a prenderle per noi.

Le automazioni ci coccolano: luci che si accendono da sole, tapparelle che si abbassano al tramonto, assistenti vocali che sanno cosa vogliamo ancora prima che lo chiediamo. Le intelligenze artificiali ci scrivono messaggi, ci suggeriscono film, ci propongono idee, progetti, innovazioni. Ci sentiamo moderni, efficienti, avanti… Ma a forza di alleggerire ogni gesto, finiamo per svuotarlo di significato.

Perfino i soldi non li teniamo più in tasca. Non li contiamo, non li tocchiamo. Sono diventati numeri digitali, affidati a un’app, a un circuito invisibile, ad un wallet digitale. Funzionano solo finché qualcuno, dall’alto, autorizza che funzionino. Il denaro non ci appartiene, è solo in prestito.

Una volta ho visto un bambino tenere in mano una vecchia fotografia stampata. La guardava con attenzione, poi ci passava sopra il dito, lentamente, come per cambiarla. Si aspettava che arrivasse la prossima. Ma quella era una foto vera. Non scorreva, non reagiva, era lì, fissa e lo restava con suo stupore da infante.

Quel gesto dice molto di più di mille parole, non è nostalgia, è un campanello d’allarme. È il segno che stiamo crescendo generazioni in un mondo dove niente è stabile, dove ogni immagine è transitoria, dove persino i ricordi diventano scrollabili.

Viviamo in un mondo che non possediamo davvero. Ogni cosa funziona solo perché qualcun altro, da qualche parte, ci concede di usarla. Le case non si aprono senza connessione. Le auto non partono se il sistema è offline. I nostri ricordi sono salvati in server remoti che non conosciamo. I software ci aiutano a pensare, ma spesso pensano al posto nostro.

Ci convinciamo che sia normale, che sia comodo, che sia inevitabile…E intanto dimentichiamo. Dimentichiamo come si riscalda una stanza senza app, come si cucina senza tutorial, come si scrive una lettera senza correzione automatica e con una penna.

Nel frattempo ci affidiamo a sistemi che ci fanno sentire leggeri ma più ci affidiamo, più diventiamo dipendenti. E la dipendenza, anche quella digitale, è una forma elegante di fragilità.

La tecnologia non è il problema, lo diventa quando smettiamo di usarla come strumento e la lasciamo diventare sostituto. Non è l’AI il nemico, è la nostra rinuncia silenziosa a pensare, a ricordare, a fare.

Il cloud è comodo, ma non è casa.
Il wallet digitale è rapido, ma non è autonomia.
Il consiglio dell’algoritmo è utile, ma non è libertà.

Arriverà, prima o poi, il momento in cui qualcosa non funzionerà. Forse sarà un blackout, forse una sospensione o forse sarà solo un errore. Ed è allora che ci renderemo conto che abbiamo costruito la nostra vita su fondamenta che non controlliamo.

La vera modernità è quella che ci rende più capaci, non più dipendenti.
La vera intelligenza è quella che ci lascia liberi anche senza di lei.

E forse, in quel momento, capiremo che ci sembrava tutto comodo. Ma era solo fragile. L.L.