Fine del gas, addio al diesel… ma con 3 kW dove vogliamo andare?

Contatore elettrico da 3 kilowatt e spine italiane su sfondo di tralicci al tramonto con scritta sulle difficoltà della transizione elettrica in Italia

Ci stiamo spingendo con entusiasmo verso l’elettrico. Basta gas, basta motori a scoppio, basta combustibili fossili. L’Europa promette un futuro senza auto a benzina entro il 2035, l’Italia spinge sulla sostituzione delle caldaie con pompe di calore e i bonus incentivano il passaggio alla cottura a induzione e alle energie rinnovabili. Tutto sembra fluire in avanti ma la realtà, quella fisica, impiantistica, tecnica, ci chiede di rallentare un attimo e guardare le basi. E le basi, in Italia, si chiamano ancora 3 kilowatt.

Il collo di bottiglia silenzioso

Tre kilowatt sono la potenza contrattuale standard con cui oltre l’84% delle famiglie italiane vive ogni giorno (fonte: ARERA 2024). Bastavano ieri, quando il gas scaldava l’acqua e il cibo, il gasolio muoveva le auto e l’elettricità alimentava poco più che luci ed elettrodomestici. Ma oggi chiediamo all’elettricità di fare tutto: cucinare, climatizzare, riscaldare, trasportarci. Quel limite, che fino a poco tempo fa non era un problema, diventa il vincolo nascosto della transizione.

Il cittadino sente parlare di pompe di calore, di piano a induzione, di auto elettriche e viene spinto a cambiare. Ma dietro ogni scelta virtuosa si nasconde un carico in più che grava sull’impianto, sul contatore, sulla rete. La casa moderna non è più solo un luogo dove si consuma energia, è diventata un nodo attivo, un punto di carico importante. E quel contatore da 3 kW, nella maggior parte dei casi, non è pronto per reggere il salto.

Elettrico sì, ma a che prezzo?

La ricarica dell’auto elettrica è il caso più evidente. Chi prova a farlo da una normale presa domestica scopre che servono più di 15 ore per completare una carica completa. E per abbreviare i tempi, si installa la cosiddetta wallbox, una stazione di ricarica a parete che permette di caricare in sicurezza e più rapidamente. Ma una wallbox lavora bene solo se si hanno 6, 7 o più kilowatt disponibili e qui arrivano i costi. Non solo quelli della stazione in sé ma soprattutto quelli legati all’aumento di potenza contrattuale. Ogni chilowatt in più costa, ogni modifica dell’impianto pesa e spesso è necessario aggiornare quadri, differenziali, sezionatori. In molti casi, anche la distribuzione interna non è adeguata (sezione dei cavi, punte di terra ecc). E nei condomini la questione si fa collettiva, le colonne montanti, progettate per un altro mondo, semplicemente non possono reggere.

Il paradosso è che chi fa la cosa giusta rischia di trovarsi nei guai. Vuoi passare all’elettrico? Ottimo. Ma preparati a spendere. Non per consumare, ma solo per avere la possibilità di farlo.

La rete, questa sconosciuta

C’è poi un altro livello, quello che il cittadino non vede ma che gli ingegneri conoscono bene: la rete pubblica. Le cabine secondarie che alimentano interi quartieri sono dimensionate su assorbimenti che non riflettono più la realtà. Se un intero condominio, o peggio, una zona residenziale, decide di passare all’elettrico senza adeguare la rete, il risultato è uno solo: sovraccarico. E allora non salta il salvavita di casa, salta tutto il sistema a monte.

Stiamo chiedendo alla rete locale di diventare il cuore della transizione, senza però darle i muscoli per farlo. E la colpa non è di chi sceglie l’auto elettrica, ma di chi da anni non investe abbastanza su infrastrutture silenziose ma essenziali come le linee, trasformatori, cabine, centri di distribuzione. Tutto ciò che non si vede, ma che tiene acceso il Paese.

Il vero problema è culturale, non tecnologico

Non basta cambiare combustibile per fare una transizione. Serve potenza, in senso letterale e figurato. Serve un sistema che accompagni le persone, che le informi, che non le spinga a installare wallbox, pompe di calore e piani a induzione su impianti che reggevano al massimo una lavatrice e un phon.

La retorica dell’elettrico ha preso il largo ma l’ingegneria è rimasta a terra e finché non avremo il coraggio di dire che servono più chilowatt, più adeguamenti, più verità, più incentivi a non pagare troppi soldi per aumentare la potenza del contatore, continueremo a vendere un futuro sostenibile con le spine troppo piccole per sostenerlo e troppo care per essere delle tasche di tutti. L.L.

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