Identità e algoritmi: una riflessione professionale nata tra le note

Di solito preferisco tenere le due sfere ben distinte: da una parte il mio lavoro da professionista del settore energetico e industriale, fatto di numeri, sistemi, logiche operative, manutentive, ingegneristiche; dall’altra, la mia passione per la musica, quel linguaggio che non segue schemi binari ma battiti e silenzi interiori.
Eppure ci sono momenti in cui le due dimensioni in me si toccano, si fondono e danno origine a qualcosa che, forse, ha un valore proprio perché sfugge alle etichette.

È ciò che è accaduto quando, nel 2018, scrissi, composi e musicai “Coscienza Virtuale”, un brano nato in un tempo in cui di intelligenza artificiale si parlava ancora sottovoce.
Un tempo in cui non c’erano ChatGPT, Midjourney o auto che “decidono” da sole ma già si intravedevano i segnali, i movimenti sotto la superficie.
Quel brano oggi, a distanza di anni, mi sembra quasi una lente, una visione anticipata su ciò che sarebbe arrivato.

Un mondo già assegnato: nome, algoritmo, destino

Nel testo, l’immagine iniziale è cruda ma reale:

“Tutti sanno che sei nato, decine di foto sui social / con il cordone ombelicale ancora attaccato.”

Già alla nascita siamo dati, un’informazione in più tra le altre. Il nostro nome, la nostra religione, persino la nostra identità digitale ci precedono. Non è fantascienza: è ciò che accade ogni volta che una nuova vita viene annunciata online prima ancora che impari a parlare.

Questo è l’incipit di quella che nel brano definisco “Coscienza Virtuale”, una forma collettiva e algoritmica di consapevolezza, alimentata da miliardi di dati sparsi nei cloud, nei social, nei big data.
È la nuova “coscienza collettiva” teorizzata da Durkheim, aggiornata all’epoca della rete neurale artificiale.

“Cogito, ergo sum”? Ormai no

Quella frase, pilastro del pensiero occidentale, oggi traballa. “Non esiste più il Cogito ergo sum” scrivo nel testo, “posta due citazioni ed affoga il pensiero in bicchieri di rum.”

È una critica, certo, ma anche una presa d’atto tecnica. Le intelligenze artificiali, oggi, sanno replicare il linguaggio umano meglio di molti esseri umani. La logica predittiva degli LLM (modelli di linguaggio di grandi dimensioni) non pensa ma simula il pensiero in modo così convincente, da indurre spesso a crederlo reale.

Il problema? È che anche noi stiamo iniziando a fare lo stesso. Copiamo, incolliamo, citiamo, postiamo aforismi. Ma pensare davvero… quello è un esercizio che richiede tempo, silenzio, profondità. E la “Coscienza Virtuale” non ci concede tregua.

Cosa ci resta di umano?

Nel ritornello, la voce si alza e pone una domanda sospesa:

“Coscienza Virtuale, conflitto animale…”

Cosa succede quando la coscienza algoritmica si scontra con l’istinto biologico? Siamo sempre più digitali ma restiamo corpi, emozioni, memoria, carne. Il conflitto è inevitabile e forse proprio lì, in quello scarto, si gioca ancora la nostra umanità.

Robot, algoritmi e il futuro del pensiero

Nel finale, la canzone chiede:

“Saranno i robot a salvare il mondo reale, attingendo alla collettiva Coscienza Virtuale?”

È una provocazione ma anche una questione concreta, se guardiamo allo sviluppo delle tecnologie di apprendimento automatico, all’uso etico dell’AI nei processi decisionali, alla delega sempre maggiore che affidiamo agli algoritmi, dalle diagnosi mediche ai sistemi energetici, chirurgici, guide autonome etc.

Come professionista mi trovo spesso a riflettere su questo: stiamo costruendo macchine sempre più complesse ma abbiamo ancora una bussola morale per guidarle? E se un giorno emergesse davvero una forma di coscienza artificiale, non solo simulazione, ma volontà, desiderio, emozione… saremmo pronti a riconoscerla? A dialogare?

Tra musica e memoria tecnica

“Coscienza Virtuale” non è nata solo da una vena artistica. È figlia anche del mio background tecnico: conoscenza dei sistemi, dei flussi di informazione, delle architetture digitali.
Ma è nata anche dal bisogno di fermare il tempo, porre una domanda, lasciare un messaggio nella bottiglia.
Come facevano i grandi cantautori, quando mettevano la propria coscienza su un pentagramma, sperando che qualcuno, un giorno, potesse trovarla e capirla.

Per questo ho scelto oggi, eccezionalmente, di scriverne qui. Perché l’identità professionale, se autentica, non può ignorare l’anima e l’anima, nel mio caso, parla anche in musica.

Se vuoi approfondire, ascolta e leggi il testo della canzone completa sul mio sito artistico:
Litti ArtisticaMente – Coscienza Virtuale L.L.

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