Quadro generale
Il libro scritto da James Ernest Brown, J.J. Hurtak e Desiree Hurtak, propone un “complesso industriale energetico” esteso dal Giza Plateau fino al Fayum e ad Abydos, con piramidi interpretate come generatori, reti idrauliche, gas come l’idrogeno, “batterie di terra” e acqua elettrificata definita “Earthmilk”. Ho acquistato questo volume anche perché il titolo era in sintonia con le mie competenze e perché Mauro Biglino, autore di numerosi libri sulle traduzioni dall’ebraico biblico e su interpretazioni non convenzionali della Bibbia, lo citava come fonte di spunti per i suoi lavori. Gli autori però non risultano avere competenze documentate in fisica, ingegneria o egittologia. James Ernest Brown è un autore indipendente legato a ipotesi alternative. J.J. e Desiree Hurtak sono noti per pubblicazioni di carattere spirituale e teologico. Nessuno dei tre ha mai avuto competenze specifiche documentate.
Capitolo 1 – Scopo delle piramidi come generatori
Cosa dichiarano: Le piramidi sarebbero state progettate per produrre e gestire energia. Si invoca un modello di “laser chimico a ciclo chiuso” con gas a base di idrogeno eccitati in cavità. Viene citato un brevetto con ricircolo dell’idrogeno come analogia. Gli autori scrivono esplicitamente che non affermano l’uso di laser in epoca egizia ma il ricorso a principi simili, con gas in pressione ed eccitazione in cavità.
Perché non torna: Un laser chimico reale richiede tre elementi fondamentali. Cavità ottica con specchi e allineamenti millimetrici. Camere e misturatori compatibili con reagenti forti come quelli fluorurati citati nel brevetto. Tenuta a pressione stabile. Le camere e i condotti in muratura di granito o calcare non presentano alloggiamenti per specchi né superfici riflettenti. La pietra per microfessure e giunti non è un contenimento pressurizzabile su scala edificio. I reagenti fluorurati attaccherebbero i silicati della pietra lasciando croste e corrosioni selettive che non risultano documentate nel volume.
Verdetto: Non ammissibile
Capitolo 2 – Osiris Shaft e strutture sotterranee
Cosa dichiarano: Il pozzo multilivello noto come Tomba di Osiride a Giza sarebbe parte di un sistema energetico sotterraneo con presenza persistente di acqua e una cassa in granito. Gli autori lo riprendono sia nell’introduzione sia nei richiami successivi.
Perché non torna: Un nodo di processo richiede funzioni distinte come ingresso dei reagenti, fase di reazione e uscita o recupero, che devono essere riconoscibili da morfologie funzionali. Ci si aspetterebbero battute, sedi di valvole, gole di tenuta, canali con pendenze di servizio. Un pozzo con acqua di falda spiega dinamiche idrauliche ambientali ma non una conversione energetica. Mancano i segni tipici di un processo e non si chiude nessun bilancio energetico perché non è individuabile né una sorgente primaria né un carico servito.
Verdetto: Non ammissibile
Capitolo 3 – Piramide a gradoni di Saqqara e tunnel d’acqua
Cosa dichiarano: Viene descritta una rete idraulica antica con passaggi e paratoie. Sono citate lastre mobili o porte in granito, come nel caso della piramide di Menkaura, per il controllo dell’acqua e per un’ipotetica produzione di energia idrica.
Perché non torna: L’idraulica è attestata ma non implica generazione di energia. Per ottenere potenza servono salti di quota e macchine come ruote o turbine, oppure un sistema basato su differenze di pressione con organi dedicati. Qui si osservano porte e lastre che sono ottimi indizi di gestione idrica o di sicurezza ma non di trasformazione energetica. Non compaiono turbine né linee di trasmissione.
Verdetto. Ammissibile come idraulica e logistica, non come generazione di energia
Capitolo 4 – Serapeum come contenimento di materiali volatili
Cosa dichiarano: I grandi sarcofagi in granito del Serapeum, dal peso di circa ottanta tonnellate, ricorderebbero depositi di sostanze volatili o radioattive. Nel libro si citano incrostazioni saline, una mappa del complesso e misurazioni con contatore Geiger che indicano circa quattordici conteggi al minuto nel corridoio e circa trentotto all’interno di un box. Si propone un parallelo con i depositi moderni in caverne saline utilizzati per l’idrogeno.
Perché non torna:
Sul piano meccanico un contenitore per gas richiede battute e superfici lappate per ospitare guarnizioni. Il granito resiste bene a compressione ma è debole a trazione e presenta microfessure. La tenuta ai gas non è sostenibile senza rivestimenti interni. I depositi moderni in sale funzionano perché il sale fluisce e sigilla le fessure, il granito no.
Sul piano radiometrico il granito possiede una radioattività naturale. Il passaggio da quattordici a trentotto conteggi al minuto è compatibile con la variabilità locale e con la geometria della sonda. Senza un’analisi spettrometrica non è prova di stoccaggi.
Sul piano chimico l’ipotesi di sostanze volatili reattive richiederebbe tracce precise come corrosioni selettive o croste diagnostiche che non risultano documentate nel volume.
Verdetto: Non ammissibile
Capitolo 5 – Fayum e ipotesi di batterie ad acqua salata
Cosa dichiarano: Il Labirinto di Hawara e le vasche del Fayum sarebbero configurazioni di batterie a sale. Ogni comparto equivarrebbe a un volt e le illustrazioni proposte mostrano collegamenti analogici. Gli autori parlano anche di batterie regolabili nelle fosse delle barche a Giza.
Perché non torna: Una batteria funziona solo con due elettrodi di metalli diversi, un elettrolita e connessioni affidabili. Le batterie di terra realmente note producono potenze molto basse e per salire di scala occorrerebbero migliaia di elementi, grandi quantità di metallo e una rete di collegamento. Anche se i metalli si fossero corrosi, resterebbero impronte chimiche precise come malachite o cuprite per il rame, ossidi di ferro o composti di piombo aderenti alle superfici. Ci si aspetterebbero inoltre sequenze modulari ripetute e tracce di cablaggio. Nel libro compaiono solo disegni e analogie ma non residui elettrochimici né la prova di un carico realmente servito.
Verdetto: Non ammissibile
Capitolo 6 – Templi di Luxor e di Hathor a Dendera
Cosa dichiarano: Le colonne in calcare poggiate su basi di granito avrebbero generato impulsi elettrici piezoelettrici diffusi in tutte le direzioni. I pavimenti rialzati avrebbero consentito il passaggio dell’acqua sotto i templi. Gli autori parlano di vere e proprie stazioni di rinforzo capaci di caricare elettricamente il Nilo e citano studi sulle frequenze VLF e su fenomeni elettrocinetici in rocce bagnate.
Perché non torna: Il piezoelettrico funziona con cristalli orientati. Il granito è policristallino con domini casuali che annullano i contributi. Per avere un effetto servirebbe una variazione dinamica di carico e la presenza di elettrodi per raccogliere la carica che non ci sono. I fenomeni elettrocinetici sono deboli e osservabili in laboratorio ma non costituiscono una sorgente di potenza. L’acqua è un cattivo conduttore rispetto al rame e come linea di trasmissione dissiperebbe l’energia.
Verdetto: Non ammissibile per energia utile, ammissibili solo fenomeni debolissimi senza uso pratico
Capitolo 7 – Anfore e acqua elettrificata (“Earthmilk”)
Cosa dichiarano: Le anfore e altri recipienti sarebbero stati moduli per contenere acqua elettrificata. Si fa riferimento a dimostrazioni moderne con fiasche e gas e al tema dell’acqua caricata.
Perché non torna: Il concetto di “acqua elettrificata” è privo di senso scientifico. In fisica e chimica l’acqua può condurre corrente o subire reazioni, ma non diventa mai elettrificata. Per un processo elettrolitico servono elettrodi e contatti. La reazione lascia sottoprodotti solidi come ossidi e carbonati sugli elettrodi e schemi di deposito all’interno dei contenitori. L’assenza di queste tracce rende l’ipotesi priva di meccanismo. L’idea di acqua elettrificata resta senza fondamento senza parametri misurabili come tensione, corrente, tempi e composizione e senza firme analitiche verificabili.
Verdetto: Non ammissibile
Capitolo 8 – Ricapitolazione dell’evidenza
Cosa dichiarano: Viene ribadito un quadro generale che include il collegamento delle strutture al Nilo, la circolazione di acqua e gas, batterie di terra gigantesche, piezoelettrico nelle basi colonnari, il Serapeum come sistema di accumulo, l’Osiris Shaft come nodo della rete e le ciotole di Abu Ghurab.
Perché non torna: Gli elementi sono correlazioni visive e analogie con tecnologie moderne ma mancano le firme tecniche obbligatorie come ottiche, guarnizioni, alloggiamenti, elettrodi e residui. Una rete energetica richiede catene causali chiare tra sorgente, conversione, trasmissione e carico e lascia tracce coerenti in ogni passaggio. Qui le catene non si chiudono.
Verdetto. Non ammissibile
Temi trasversali e appendici
Laser come analogia operativa
Gli autori citano brevetti di laser chimici e casi moderni come modello. Non affermano che gli Egizi usassero laser per il taglio ma che la piramide potesse funzionare come un sistema a gas eccitato e pressurizzato. Il problema è che senza cavità ottica e tenuta la similitudine non diventa meccanismo reale.
Verdetto: Non ammissibile
La vasca della Camera del Re come reattore
Si cita la compatibilità del granito con vasche industriali ma quelle moderne hanno rivestimenti. I reagenti come fluoruri o acido fluoridrico attaccano i silicati del granito. Manca qualsiasi traccia di corrosione selettiva o di strumentazione.
Verdetto: Non ammissibile
Fori precisi e passaggi
I fori descritti come accurati ricorrono in più siti. Un foro di processo si riconosce dal contesto funzionale con sedili, battute, allineamenti, svasature e impronte di serraggi. Restano anche aloni metallici e segni di erosione da flusso. In questi casi i fori appaiono isolati senza sedili, senza sequenze funzionali e senza residui. L’argomento delle valvole scomparse non regge perché le sedi lavorate resterebbero visibili e non lo sono.
Verdetto: Non ammissibile
Abu Ghurab e le ciotole in calcite
Le ciotole con uno o più fori vengono collegate a batterie. Secondo gli autori più ciotole significherebbero maggiore tensione. Mancano però elettrodi e residui da corrosione. L’alabastro è isolante e servirebbero inserti conduttivi che lasciano segni. Anche la modularità elettrica dovrebbe essere riconoscibile in pattern ripetuti. Non lo è.
Verdetto: Non ammissibile
Batterie regolabili nelle fosse delle barche
Il libro raffigura schemi che collegano le fosse a celle regolabili. Una batteria richiede due metalli, elettrolita e connessioni. Non ci sono residui elettrochimici, non ci sono cablaggi, non è individuato alcun carico.
Verdetto: Non ammissibile
Acqua elettrificata o Earthmilk
Tema ricorrente nelle conclusioni e nella quarta di copertina. L’acqua sarebbe stata caricata o strutturata. Una trasformazione utile richiede parametri fisici e lascia tracce analitiche come variazioni di pH, ioni, precipitati o prodotti anodici e catodici. Nessuno di questi elementi è riportato.
Verdetto: Non ammissibile
Radioattività
Si cita un amuleto con particelle radioattive che misura 87 conteggi al minuto contro un fondo di circa 21 e la misura nel Serapeum con 38 conteggi contro 14. Il granito ha radionuclidi naturali. Una misura puntuale non prova processi e senza analisi spettrometriche non è evidenza di impianti.
Verdetto: Non ammissibile
Conclusione generale
Gli autori costruiscono un racconto coerente fatto di analogie come laser, batterie, fenomeni piezoelettrici e sistemi sotterranei di accumulo. Mancano però i requisiti minimi che trasformano un’analogia in un impianto. Non compaiono cavità ottiche con specchi né allineamenti millimetrici, indispensabili in un sistema laser. Non esiste una tenuta per gas in pressione, che in un materiale fragile a trazione come il granito si disperderebbe in microfessure. Non ci sono elettrodi, connessioni o residui elettrochimici, che un vero impianto avrebbe lasciato sotto forma di incrostazioni, ossidi o aloni metallici. Le catene causa effetto restano incomplete, si parla di sorgenti e di presunti convertitori senza dimostrare alcun percorso di trasmissione e nessun carico effettivo. Dove si invocano componenti scomparsi, mancano comunque le impronte obbligate che ne avrebbero testimoniato la presenza, come sedi lappate, gole di tenuta, superfici lavorate o patine caratteristiche prodotte dal contatto con reagenti.
Gli autori fanno un uso speculativo di alcuni lavori scientifici veri. Vengono citati studi moderni su laser chimici, sulla fotodissociazione dell’idrogeno, sulla geologia e sull’elettrocinetica. Si tratta di ricerche accreditate ma richiamate come paralleli per giustificare un modello che non trova riscontro nelle strutture antiche. L’operazione è di suggestione più che di applicazione tecnica, il riferimento a scienza contemporanea serve a dare credibilità a ipotesi che mancano di fondamento materiale.
Giudizio finale: Le ipotesi energetiche presentate nel libro non sono ammissibili dal punto di vista fisico, chimico, e ingegneristico. L.L.